PAROLE E INTERCULTURA
Ghorba come sentimento e sensazione esistenziale del migrante
Ghorba, vocabolo dell’arabo dialettale dell’area del Maghreb, risuona come un’eco lontana: intriso di emozioni, evoca le sfide e le esperienze di chi vive lontano dalla propria terra e dalla propria patria. Racconta di strade percorse in cerca di nuove opportunità, di un esilio scelto o imposto. È l’ombra di una casa lontana, il suono di una lingua familiare.
Sia in musica che in letteratura questo termine diventa un mezzo potente per esprimere le emozioni di chi vive l’estraneità e ci invita a riflettere sul significato di appartenenza, anche quando le radici si trovano a migliaia di chilometri di distanza.
La ghorba racchiude un mix di sentimenti come nostalgia, esilio e tristezza, descrivendo la condizione di chi vive lontano dalla propria terra. Derivata dalla radice gh-r-b, che richiama l’estraneità e la distanza, la ghorba è associata alle esperienze migratorie, diventando un termine chiave per raccontare la vita di chi lascia il proprio Paese in cerca di opportunità o per sfuggire a conflitti.
Profondamente legata all’esperienza della migrazione, la ghorba offre una chiave di lettura preziosa per comprendere il concetto di intercultura. In un contesto interculturale, comprendere il significato di ghorba è fondamentale al fine di creare ponti tra culture diverse: da sensazione di isolamento, essa può divenire opportunità di dialogo e scambio interculturale, diventando un motore per l’interazione e una risorsa di arricchimento.
Nel Maghreb, la ghorba è un concetto profondamente radicato nella cultura e nel linguaggio quotidiano. Spesso evocata in contesti familiari, nelle conversazioni più intime e nelle riflessioni personali, la ghorba trova spazio anche nella musica algerina, dove accompagna le storie dei migranti e le difficoltà di adattamento a nuove realtà. Questa musica incarna il dolore e la nostalgia di chi lascia la propria terra, ma anche la speranza di un futuro migliore. Artisti come Rachid Taha hanno raccontato, attraverso i loro testi, il dolore dell’estraneità e l’illusione di trovare una felicità altrove. La canzone Ya Rayah, in italiano Oh tu che parti, con il suo invito a riflettere sulla partenza, si rivolge a tutti i migranti che si trovano in Occidente ( Occidente, in arabo è reso con il termine Gharb che condivide la stessa radice di ghorba) combattuti tra la nostalgia del proprio paese e l’impossibilità di tornare senza portare con sé una storia di successo. Nonostante la canzone abbia più di 20 anni, le sue parole risultano attuali e ci ricordano la storia di tanti migranti dei giorni nostri:
“Oh tu che te ne vai, dove stai andando? Viaggerai e poi tornerai
quante persone ingenue se ne sono pentite prima di te e di me
Quanti paesi sovrappopolati e terre vuote hai visto? (..)
Oh emigrato, nei paesi degli alti, quanti sacrifici devi fare?
Quando si parla di ghorba, si entra in una dimensione interculturale profonda, confrontandosi con una delle esperienze umane più condivise nel mondo contemporaneo: la migrazione.
Articolo scritto da Veronica Polizza, tirocinante INTERSOS Lab, Università Orientale di Napoli