L’AI applicata al no-profit: quali orizzonti e prospettive?

L’AI applicata al no-profit: quali orizzonti e prospettive?

“L’intelligenza artificiale sarà morta nel giro di qualche anno. Quando smetti di nominare una cosa, essa non esiste più, è morta. Sarà talmente integrata in qualsiasi cosa facciamo, che smetteremo di nominarla. Sarà come dire “l’ho fatto col computer”.

ٌRacconta Davide Cardea, formatore e collaboratore di INTERSOS Lab, al webinar del 27 marzo 2024 “L’AI applicata al No Profit.”


Cardea ci mette di fronte a una rivoluzione, in cui l’utilizzo dell’AI è ancora agli inizi. Basti pensare che ogni giorno escono un centinaio di strumenti nuovi in questo campo, con tutti gli interrogativi e i dilemmi etici che ne derivano. La verità - dice Cardea - è che l’AI non è di per sé buona o cattiva, sono le persone che la utilizzano le loro scelte a fare la differenza. Per questo motivo, è importante fin da subito avere consapevolezza delle sue implicazioni nel nostro lavoro e imparare a gestirle, rilevando i campi prioritari di applicazione.


Semplificando al massimo, l’AI funziona grazie a tre componenti: l’input, il modello e l’output. L'input, ovvero quello che le chiedo, può essere di tantissime nature: un pdf, un video, un file excel, e tanto altro ancora. Il modello, o i modelli, sono ciò che l’AI elabora, a seconda delle istruzioni che le diamo. Per fare un paragone, è come se al suo interno ci fossero un milione di geni in grado di fare le cose meglio di qualsiasi essere umano, perché sono stati addestrati con un numero sterminato di informazioni. Alcuni di questi geni sono specializzati in task particolari e possono essere esperti di qualunque cosa, qualunque professione umana. L’output è il risultato finale del processo, che cambia a seconda dell’input e dell’elaborazione.


Se so come porre all’AI le domande nel modo corretto, mi darà risposte perfette. Non è generalista, produce grafici e tabelle. Nel terzo settore, è uno strumento che può tornare utile per velocizzare un’infinità di mansioni che un essere umano impiegherebbe ore, se non giorni, a fare. Può aiutare ad analizzare dati dei donatori, identificare segmenti di pubblico, gestire e monitorare progetti, analizzare dati finanziari dell’organizzazione, identificare le aree di miglioramento, analizzare bandi. Per esempio, dopo aver fornito i dati di un progetto posso chiedere come gestire il budget in relazione al contesto. L’AI ci può permettere di fare scelte migliori basate sui dati, migliorare efficienza e impatto delle attività, trovare nuovi donatori e sostenitori, ottimizzare e migliorare la partecipazione di quelli vecchi, risparmiare tempo e denaro.


Un grande esempio virtuoso è quello di Save the Children, che grazie all’AI ha creato un Chatbot per fornire istruzioni personalizzate a bambini in aree remote. L’AI, in questo caso, non si sostituisce in toto all’operatore umano, ma interviene laddove non sia possibile fornire altri tipi di servizio, per permettere ai bambini e alle bambine di studiare. Il chatbot risponde come una persona reale, in tutte le lingue del mondo, con un linguaggio adatto all’età. Non ha peggiorato la qualità dell’intervento, ma al contrario ne ha ampliato enormemente la portata, fornendo accesso all’istruzione a minori che altrimenti non avrebbero mai potuto andare a scuola.


L’AI non ruba il lavoro, sono le persone che la sanno usare a rubarlo, e chi rimane indietro è perduto. Sta diventando sempre di più uno standard, oltre il quale si può solo crescere. Nonostante questo, non dobbiamo mai dimenticarci che essa non può andare da nessuna parte da sola, serve ancora un operatore in grado di indirizzarla. Si spera che questo utilizzo possa essere quanto più virtuoso, ed è qui che il no profit deve operare.